Se il linguaggio è inquinato lo sono anche i pensieri. Come possiamo pulire e trasformare l'inquinamento delle parole che a volte nella società contemporanea determina una vera e propria manipolazione della realtà?
Forse dobbiamo ritornare alla radice del linguaggio ed immergerci nelle profondità del tempo ritrovando e avventurandoci in quell'immagine primordiale, tale come è disegnata nell'ideogramma cinese, ma anche nel geroglifico egiziano o nei glifi Maya.
A questo proposito propongo una lettura di Ernest Fenollosa, orientalista americano che visse a lungo in Giappone e in Cina alla fine del XIX e inizio XX secolo.
Eccone un estratto significativo:
"La forma della frase è stata imposta dalla natura stessa. Non siamo stati noi a crearla; era un riflesso dell'ordine temporale in rapporto alla casualità. Tutta la verità deve essere espressa mediante le frasi, perchè ogni verità è trasferimento di potere. Il modello della frase in natura è come il lampo, passa tra i due termini, la nuvola e la terra. Nessuna unità del processo naturale può essere meno di questo. Ogni processo naturale, nella propria unità, è proprio questo. Luce, calore, gravità, affinità chimica, volontà umana, hanno questo in comune: ritrasmettono forza. (...)
Generazione Ideogramma Yang |
Generazione Ideogramma Yin |
In natura non c'è negazione, non c'è alcun possibile trasferimento di forza negativa. La presenza di frasi negative nel linguaggio sembrerebbe rinforzare il punto di vista dei logici, che l'asserzione è un atto soggettivo arbitrario. Noi possiamo affermare una negazione nonostante la natura non possa farlo. Ma anche qui la scienza viene in nostro soccorso contro i logici: tutti i movimenti in apparenza negativi o distruttivi mettono in gioco altre forze positive. (...) L'annientamento richiede una grande forza. Perciò potremmo supporre che, se si potesse ripercorrere la storia di tutte le particelle negative, scopriremmo che derivano da verbi transitivi.
E' troppo tardi per dimostrare tali derivazione nelle lingue ariane, ne è stata persa la chiave, ma in cinese possiamo ancora osservare concezioni verbali positive trasformarsi nelle cosidette negative.
Così in cinese il simbolo che significa "sperduto nella foresta" si riferisce a uno stato di non esistenza. L'inglese "not" (non) equivale al sanscrito "na" che ha origine nella radice na, essere sperduto, perire. Al termine viene l'infinito che sostituisce a un verbo di volore specifico la copula universale "è", seguita da un nome o un aggettivo. (...) Questa è un'estrema debolezza del linguaggio. Deriva dal generalizzare tutte le parole intransitive in una sola. Come "vivere", "vedere", "camminare", "respirare", sono generalizzati in stati per omissione dei loro oggetti, così questi verbi deboli sono ridotti a loro volta allo stato più astratto, cioè al semplice esistere.
In realtà non esiste nessun verbo come pura copula, non esiste una concezione così originaria. La nostra stessa parola esistere significa "porsi in avanti", cioè mostrare sé stessi come atto definitivo.
"Is" deriva dalla radice ariana "as", respirare. "Be" (essere) dalla radice "Bhu", crescere.
In cinese il verbo principale per "è", non solo significa anche "avere", ma attraverso i suoi derivati, esprime qualcosa di ancor più concreto, vale a dire "afferrare con la mano la luna".
Ernest Fenollosa, L'ideogramma cinese come mezzo di poesia, 1918
Tradotto da Silvia Galimberti per Luni Editrice 2014
"Sulle colline il vento fa ondeggiare l'erba. Sul foglio la mano muove il pennello." |
Le immagini provengono da:
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